31/03/11

PROFUGHI, STORIE D'IMMIGRAZIONE POSSIBILE



ORIA – “Qui è Guantanamo”, dice il tunisino Said (foto 1, al centro) da dietro la recinzione metallica del campo profughi, però sorride davanti agli obiettivi dei giornalisti e fa il gesto di “ok” con la mano. Kais Al Mezdari (foto 2) mostra orgoglioso il tesserino plastificato - con su stampato il suo nome - che gli dà diritto al pasto di mezzogiorno. Poco oltre le tende, intanto, altri profughi ingannano l’attesa giocando a pallone, che gli è stato portato da alcuni cittadini: loro idolo è il centravanti dell’Inter Eto’o, camerunense. Un “fratello” che ce l’ha fatta. C’è un liberiano, che non ci sta:"Weah, Weah!". Lui preferisce l’ex attaccante del Milan, che qualche anno fa si è anche candidato alle presidenziali in patria. La confusione maggiore, però, è in prossimità dell’ufficio mobile della questura, dove si presentano le richieste di protezione internazionale. La voglia di non dover tornare indietro è tanta, quella di restare qui per raggiungere i familiari, che si trovano soprattutto in Francia, pure. Qualche fuga c’è stata ieri ma, come riferiscono gli operatori del centro profughi, gli ospiti cominciano a capire che pazientare conviene: meno di un mese per ricevere l’attestato nominativo, con il quale possono eleggere domicilio altrove. Per esempio, presso un qualsiasi avvocato che segua l’iter della protezione internazionale e, nel caso di diniego, proponga ricorso: in questo modo passano quattro – cinque anni da regolari a tutti gli effetti. È questo che funzionari della questura e assistenti sociali cercano di spiegare ai nordafricani appena dopo la sistemazione nei container e le visite mediche. “Li sorvegliamo nel loro stesso interesse”, ribadisce il direttore del Cai Nicola Lonoce. “Io resto qua finché non mi cacciano”, dice Samir (foto 3), un ragazzone algerino di oltre due metri che con la testa già supera la rete di protezione, mentre chiede l’ennesima sigaretta. Quelle che passano al centro non bastano: “Sono tunisini, ma fumano come turchi”, ci scherza su un poliziotto allungandogli una bionda. Samir sorride e, contento per le dimostrazioni di affetto, saluta in francese e se ne va. I suoi compagni lo attendono più in fondo, si siede all’ombra e divide con loro la sigaretta. Bassur è uno dei pochi nigeriani e non vede l’ora di uscire. In francese dice: “Voglio lavorare, qui non facciamo niente dalla mattina alla sera, ci annoiamo ma almeno mangiamo”. Poi chiede la macchina fotografica e scatta una foto ai giornalisti. Per lui, uno sprazzo di ilarità nella noia quotidiana. Magdi è arrivato martedì, assieme ad altri 826 disperati ed è già innamorato dell’Italia. Lui non ha tentato di fuggire, quindi le ronde non sa cosa siano. Gli chiediamo come sta, come si trova nel campo: “Qui è meglio di Lampedusa, là stavamo come animali, pane e acqua erano finiti, qua si mangia, grazie Italia”. C’era anche Francesco Patisso, ieri al campo. Francesco è di Oria ma fino a due anni fa lavorava in Tunisia come animatore presso il villaggio turistico “Caribbean World” di Monastir. Lì con lui c’era Assan, che ora è al campo profughi: “Da qualche mese – spiega Francesco – avevo perso le tracce di Assan, che non riuscivo a contattare nemmeno su Facebook. L’altro giorno, quasi per caso l’ho incontrato tra i migranti. Cerco d’incontrarlo ogni giorno, per aiutarlo. Non immaginate la gioia che mi ha dato ritrovarlo”.

Eliseo Zanzarelli


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