06/04/11

FILOTICO RISPONDE A LABORATORIA: "D'ACCORDO, MA NON DEL TUTTO..."


ORIA - Riceviamo e pubblichiamo da Salvatore "Titti" Filotico (in foto):

[Ho letto con estrema attenzione e passione il prezioso intervento di Fabio Ancora (che, purtroppo per me, ricordo piccolissimo in un passeggino o in braccio alla mamma) a nome dei ragazzi di Laboratoria.
Considero questo intervento un ottimo esempio di capacità di riflessione critica sulla realtà sociale della Comunità oritana, anche se non condivido pienamente alcuni passaggi sui quali, tuttavia, occorre riflettere e discutere perché sono riflessioni cruciali per lo sviluppo politico e sociale della Comunità (non solo oritana).
Prima di iniziare la riflessione desidero, però, lanciare da queste colonne una proposta.
La comunità oritana si sta facendo carico, in maniera preponderante, di affrontare i problemi connessi con la presenza di questo centro di accoglienza. E lo sta facendo, prevalentemente, in maniera straordinaria al di là ed al di sopra delle implicazioni politiche che la vicenda pone. È altrettanto vero che i riflettori mediatici e le cosiddette promesse di risarcimento al territorio (parole del ministro Fitto) sono rivolti a Manduria.
Forse sarebbe il caso davvero, tutti insieme ed al di là ed al di sopra delle diverse posizioni politiche affrontare seriamente il problema nell’interesse sia della comunità, sia delle persone ospiti del centro sia anche delle forze dell’ordine e di quanti sono chiamati a gestire il problema?
Ho la sensazione che ciascuno si stia muovendo per proprio conto e seguendo canali propri senza coinvolgere ed informare adeguatamente i Cittadini. Questo atteggiamento genera, a volte, ansie e paure che possono degenerare in atteggiamenti e comportamenti aggressivi e conflittuali. Penso che i problemi si debbano e possono affrontare insieme attraverso il coinvolgimento e l’informazione. Poi, chiaramente, in democrazia, chi ha responsabilità decisionali decida. Allora è ora che i quattro candidati alla poltrona di primo cittadino s’incontrino e promuovano azioni di proposta e se occorre anche di protesta per affrontare e risolvere questo problema.
Ciò detto condivido pienamente l’analisi dei ragazzi di Laboratoria e di Fabio rispetto ai tre atteggiamenti messi in atto dai Cittadini riguardo al ruolo della cultura. In effetti è possibile riscontrare da parte di alcune persone un atteggiamento di splendido isolamento alla “odi profanum vulnus et arceo” o se vogliamo alla “intellettual radical chic”. La parola cultura ha la sua radice nell’ azione di “colere” (e quindi nell’azione di coltivare con amore i frutti della madre Terra). Ma al “colere” segue il rac-colere (ossia l’azione di nutrirsi fisicamente, moralmente ed intellettualmente di ciò che si è seminato cogliendolo con rispetto ed amore.
Ma il “colere” non è forse collegato anche con ac-cogliere? Ossia con l’azione di abbracciare, conoscere e valorizzare ciò che la terra ci offre e che spesso ci è ignoto? Ancora, il “ colere” non è collegato e collegabile con il soc-colere ossia con la cura che si deve alle piante, ai frutti ed alle persone di una Terra malata? Ho imparato a riconoscere ed a coltivare queste parole dall’essere cresciuto in piazza, luogo di conoscenza, cultura ed accoglienza straordinario e fondamentale: ma l’ho imparato anche dal rapporto con operai e contadini, insegnanti, intellettuali, disabili, Rom. E dalla tanta umanità che ho incontrato nella mia vita. Penso che questo valga per tutti non solo per me.
Secondo problema che Fabio e i ragazzi pongono: l’ignoranza, ossia la non conoscenza dei problemi connessi con il fenomeno che si affronta ( in questo caso la straordinaria migrazione di massa). La parola ignoranza ha una connotazione negativa se la si assume come condizione nella quale le persone possono trovarsi e non sono messe nella condizione di reagire e conoscere. Ma può avere una connotazione positiva se diventa una condizione di fondo dalla quale tutti possiamo e dobbiamo muovere per andare alla ricerca della conoscenza e per approfondire la realtà. Questa è una condizione socratica nella quale ci si può trovare se ci dotiamo di una sana curiosità. Ma occorre anche un’altra qualità per far sì che l’ignoranza divenga una condizione positiva: occorre, come insegnavano Don Milani e Paulo Freire, che le persone siano padrone del linguaggio, delle parole. Occorre insegnare, sin da bambini, a smontare le parole, a capirle e saper utilizzare le parole giuste al momento giusto. “Chi ha parole ha potere“ insegnava Don Lorenzo ai ragazzi di Barbiana nella mai dimenticata (ma anche poco letta) “Lettera ad una professoressa”.
Dare la parola agli ultimi , saperli ascoltare (star siendo = in silenzio) erano i principi dell’educazione popolare di Paulo Freire ma anche di Danilo Dolci. Questi principi ci mettono al riparo dal rischio che ci si trovi a dar ragione a Louis Althusser quando affermava che: “ Chi ha potere ha parole” ( ciò che in realtà accade oggi).
Il terzo atteggiamento: la paura. Nasce dalla non conoscenza dell’altro e della realtà, dalla mancanza di abitudine ad adoperare il pensiero critico. Sono queste le ragioni per cui si preferisce, oggi, una scuola che istruisce ad una scuola che educhi. Soprattutto che educhi, un po’ alla Rodari, all’uso della fantasia e della creatività. La fantasia e la creatività sono strumenti di cui tutti siamo dotati, qualsiasi sia la condizione sociale ed economica. Il ruolo dell’educatore, chiunque esso sia (insegnante, genitore, politico) è maieutico, ossia deve essere una sorta di “levatrice” che aiuta le persone da educare a coltivare il dubbio ed a far emergere il proprio pensiero senza limitarsi a riportare il pensiero altrui (questa è la logica che porta a perpetuare il consenso). Penso che la mancanza di una educazione alla politica non sia un problema solo oritano; questo fenomeno ha radici lontane che trova le sue radici nel postulato poco condivisibile ( e tutto a vantaggio di chi detiene il potere economico e politico) che le ideologie siano morte. Le ideologie non sono mai morte e non lo saranno mai: sono solo mutate e vanno comprese e gestite alla luce della modernità. Sono state fatte sparire le scuole di partito ed i luoghi di formazione politica (questa è una grave colpa della sx e della dx sia chiaro); sono cambiati i luoghi di discussione e di aggregazione (oggi spesso virtuali, ma non per questo meno efficaci). Lo stesso concetto di delega è stato esasperato a tal punto che oggi siamo alle soglie del populismo più deleterio, al punto che la politica si fa con gli spot e sui predellini e non più nei luoghi di esercizio dei principi democratici.
Per questo chi detiene il potere ha sempre avuto nei confronti dell’Arte un atteggiamento ambivalente.
O se ne serve per controllarlo e gestirlo per perpetuare il potere (sia pure in maniera illuminata) oppure lo rifiuta e lo tiene ai margini della società (da qui il mito dell’artista tutto genio e sregolatezza, spesso al di fuori degli schemi e senza possibilità di controllo sociale).
Ma se la politica teme l’arte è vero il contrario che è l’ arte a temere la politica al punto di doversene isolare? Non credo.
L’arte sin dall’antichità è la forma di pensiero più alto dell’uomo perché nasce dall’esperienza e dalla creatività (pensiero divergente). L’arte, in tutte le sue forme, può essere politica ed irridere la politica stessa.
Per questo fa paura ad alcuni potenti.
Se l’arte non avesse una funzione politica e pedagogica avremmo avuto opere come Guernica di Picasso o tutta l’opera di Caravaggio o di Pelizza da Volpedo?
Pensiamo, poi, alla valenza politica della scrittura dantesca o di Pasolini , D’Annunzio o alla musica di Wagner, Dvorak o Strauiss o di cantautori come De Andrè e Bertoli o Dylan. La stessa necessità dei Camuni o di altri popoli di narrare le proprie gesta mediante le incisioni rupestri non è volontà politica?.
L’arte è incomprensibile? È vero solo in parte: è una per chi realizza un’opera ( sia essa musicale, pittorica, narrativa ecc) è ciò perché ha anche una funzione liberatoria, catartica; e nulla ( o nessuno) per chi non ne comprende il valore e la ignora; è centomila per chi ne fruisce guardandola con occhi propri.
Ma l’arte ha anche una funzione narrativa e pedagogica (pensiamo solo alle foto di Cartier Bresson o a certe opere di Verdi oppure al ruolo svolto dal cinema negli anni del dopoguerra in Italia o ai film di Chaplin o Truffaut). L’arte ha valore di s-pieg-azione della realtà vista con gli occhi dell’artista, ma anche con quelli dell’utente; ha valore di narr-azione di fatti, emozioni, sensazioni, percezioni; ha anche una funzione di di-vulg-azione ossia di narrare al popolo e alla società storie e fatti interpretandole attraverso diversi codici espressivi e linguistici.
Per queste ragioni concordo con Fabio ed i ragazzi di Laboratoria: l’arte non può essere dogmatica; ma altrettanto non può e non deve esserlo la politica: altrimenti scadremmo nella mancanza di democrazia in quanto la conoscenza dei problemi e del reale sarebbe patrimonio di pochi e non di tutti.
Infine, voglio riaffermare una mia sensazione di questi giorni. Sono fiero di essere oritano per quello che ho visto fare ai giovani in questi momenti; l’accoglienza è fatta di riconoscimento, ascolto, accompagnamento, incoraggiamento, valorizzazione. Bene Oria è stata in gran parte esempio reale, pratico, concreto della possibilità di attuare tutte queste parole.
Grazie Laboratoria e grazie Fabio di averci dato l’emozione e la possibilità di riflettere su queste parole

Oria 5 aprile 2011

Salvatore Filotico]

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