12/12/10

IL VALORE SIMBOLICO DI UNA "CADUTA": CITTADINI O SUDDITI?


ORIA – Questi giorni, tra pro e contro, ne sono state dette di tutti i colori sulla fine prematura o, a seconda dei punti di vista, sin troppo tardiva dell’amministrazione. Tra le tante, qualcuno sostiene che le dimissioni presentate venerdì mattina da undici consiglieri comunali e la conseguente caduta del sindaco Cosimo Ferretti e dell’amministrazione da lui guidata, abbiano costituito, a soli tre mesi dalle elezioni, una pagliacciata pura e semplice. Qualcun altro, invece, è convinto che prima o poi sarebbe dovuto succedere e, in ogni caso, meglio tardi che mai. Come spesso, probabilmente l’interpretazione più corretta di quel ch’è accaduto risiede esattamente a metà strada tra la prima e la seconda tesi. Ciò, nel senso che sì, è vero, l’amministrazione Ferretti si è dimostrata claudicante già qualche mese dopo la vittoria elettorale del 2006, quando una cospicua porzione di consiglieri e candidati consiglieri di maggioranza – qualcosa come oltre 1.700 voti - decise di passare all’opposizione, ma finché si è la metà più uno la legge prevede che si possa e debba amministrare seguendo la propria linea. Per quanto discutibile e, infatti, da più parti discussa. Di occasioni per dimettersi, d’altra parte, il sindaco ne ha avute diverse, ma in nessuna di esse ha avuto il buonsenso, e si vuole l’orgoglio, di farlo. La situazione d’instabilità è stata portata avanti, con diversi degli undici consiglieri di maggioranza a ergersi di volta in volta a “undicesimo” (quindi decisivo), fino alle estreme conseguenze di oggi - dieci dicembre 2010 -, data storica che sancisce a distanza di oltre 33 anni il ritorno di un commissario prefettizio alla guida del Comune. Eppure, se solo si fosse dimesso quando avrebbe potuto, scrollandosi di dosso tutti gli “undicesimi” che buoni a reclamare privilegi per sé e i propri affini, ricandidandosi Ferretti probabilmente avrebbe rivinto le elezioni e potuto contare su di una maggioranza più solida. Delle ultime tormentate vicende della maggioranza, decisiva può essersi rivelata la defenestrazione di Gianfranco Sorrento - uno di coloro che hanno firmato la mozione di sfiducia – dalla carica di presidente del consiglio comunale, che aveva “conquistato” da primo degli eletti nelle fila dell’allora Udc, per piazzarvi dietro pressante richiesta Bruno Viapiana. A pensarci bene, da allora la biglia ha cominciato a rotolare inesorabilmente lungo il piano inclinato, peggio di prima. In pratica, si è spezzato ogni seppur labile equilibrio. Da lì in poi, passando per l’affaire Sing e i vari concorsi, ogni consiglio comunale è stato caratterizzato dall’incognita: ce la faranno o no, questa volta, i “nostri” eroi? E alla fine non ce l’hanno fatta. Non c’è stato margine per concertazioni dell’ultima ora e nemmeno per la discussione in consiglio della mozione di sfiducia presentata da otto dei consiglieri di minoranza. Si è optato per la sfiducia sic et simpliciter, per la serie “chi di undicesimo ferisce, di undicesimo perisce”, si potrebbe sintetizzare. Piaccia o no, utile o meno, la caduta di quest’amministrazione, per quanto tardiva, potrebbe esprimere un alto valore simbolico: è fallito un modus amministrandi, non un’amministrazione, si è sentito dire in giro. A voler forzare un po’ la mano, lo storico ritorno del commissario in quel di Oria può addirittura rappresentare un monito a futura memoria per i cittadini – elettori e, in secundis, per la stessa politica: d’ora in poi, mai più così. Perché, se da una parte tre mesi di gestione ordinaria, e magari oculata, della cosa pubblica potranno servire a ben poco, dall’altra potranno fungere da esempio. Lontani anni luce, tanto per parafrasare il preambolo della mozione si sfiducia, da clientelismi e conduzioni comunali “verticistiche”. In questo senso, la pagina di storia amministrativa che si è consumata stamattina – se chi di dovere saprà trarne le giuste conseguenze - potrebbe non rivelarsi poi così fine a se stessa. Come dire? Tutto da qui in avanti, fuori dagli accordi tra partiti e gruppi di potere, passa nelle mani del popolo, a ché sia sovrano all’atto di votare, ma soprattutto successivamente. Perché da un giorno all’altro non passi, come sovente accade, dal trono alla sudditanza. (Eliseo Zanzarelli)

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